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l'invasione dei Dori |
regione del
Peloponneso |
resti di una bottega
con sullo sfondo le
colonne di un tempio |
frontone del tempio
di Delfi rappresentante
la lotta tra dei e giganti |
guerriero armato |
vaso corinzio |
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Il periodo che va dal 1200 all'800 a.C. circa prende il
nome di Medioevo ellenico; è in quest'epoca che intervennero numerosi
cambiamenti nella civiltà greco, come l'introduzione dell'uso del ferro
Il
MEDIOEVO ELLENICO ( XII - IX SEC. A.C. )
Intorno al 1200 a.C. in Grecia giunsero i Dori, un gruppo di Indoeuropei che si
stanziarono nelle regioni più a nord.
Essi erano culturalmente più arretrati delle popolazioni greche, infatti erano
guerrieri che vivevano di rapine, di caccia e di pastorizia, ma conoscevano già
l'uso del ferro.
Questa invasione determinò un vasto movimento migratorio di Greci che,
abbandonate le proprie terre, si trasferirono sulle coste dell'Asia Minore, dove
fondarono città con usi, lingua e costumi greci (prima colonizzazione).
Cominciò allora quel lungo periodo di tempo, i secoli bui della storia greca, di
cui ben poco conosciamo, che fu detto medioevo ellenico.
Durante questa epoca l'organizzazione statale micenea si frantumò e le
condizioni di vita peggiorarono.
Molte regioni si spopolarono, i commerci diminuirono, la popolazione, ridotta in
povertà, tornò alla coltivazione dei campi e all'allevamento del bestiame,
l'arte inaridì la sua creatività e forse si perse anche l'uso della scrittura.
L'età buia, tuttavia, fu non solo un'epoca di decadenza; a poco a poco
la Grecia si riprese economicamente, uscì dal vuoto provocato dal crollo della
civiltà micenea e costruì una società nuova. Nuova per la Grecia stessa, ma
nuova anche per l'umanità intera.
Il dominio del re si indebolì a vantaggio dei nobili, i grandi proprietari
terrieri che, in grado di procurarsi le armi più costose conquistarono un
primato economico, militare e politico e, gradatamente, determinarono la
scomparsa della monarchia e la nascita dell'aristocrazia (potere dei nobili).
LA NASCITA DELLA POLIS
( CITTÀ - STATO )
Il re miceneo, come i faraoni egiziani e i re mesopotamici, aveva goduto di
enormi privilegi: il suo palazzo si identificava con lo Stato, con l'economia,
con la religione e il suo potere quasi assoluto non era mai stato messo in
discussione dall'aristocrazia guerriera che lo circondava. Dall'invasione dorica
invece la figura del re uscì fortemente ridimensionata: l'eliminazione fisica di
molti sovrani micenei e l'abbattimento delle basi stesse del loro potere, fece
emergere infatti, in modo sempre più prepotente, il ruolo dell'aristocrazia,
composta sia dalla nobiltà dorica che da quella micenea, ormai amalgamatesi.
Ovunque il re, che ora veniva chiamato basiléus, rimase in carica ancora per
un certo periodo, ma solo come un primo tra gli uguali che governava sotto lo
stretto controllo degli altri aristocratici. Poi egli fu ridotto al ruolo, molto
più modesto, di supremo sacerdote.
Con la dissoluzione dei regni micenei emerse dunque una situazione sociale
del tutto inedita: gli aristocratici colsero l'occasione di creare
un'organizzazione in cui il potere del singolo nobile trovava un rafforzamento,
ma anche un limite, nel potere degli altri nobili.
Fu un processo lungo, ma alla
fine nacque una forma associativa del tutto nuova nella storia dell'umanità: la
polis.
La polis comprendeva
anche il territorio circostante, costituito dai campi, dai villaggi, dai pascoli
e dai porti.
La città era governata dai rappresentanti delle famiglie nobili raccolte in un
consiglio cittadino, la gherusia, mentre il resto della popolazione partecipava
alle assemblee.
Ogni polis si considerava indipendente, per questo vi furono fra le città
continui scontri che impedirono la formazione di uno stato unitario.
La nascita della città determinò la ripresa economica in Grecia grazie
soprattutto all'incremento delle attività artigianali e commerciali che
contribuirono alla formazione di un nuovo ceto di ricchi.
La polis dei cittadini
Nella polis tutti coloro che possedevano la qualifica di cittadini avevano
gli stessi diritti e gli stessi doveri; si riunivano in assemblea ed eleggevano
i magistrati, cioè gli esecutori del volere collettivo. Bisogna tuttavia tener
ben presente che i cittadini non si identificavano completamente con gli
abitanti; essi erano dei privilegiati che detenevano il potere e lo esercitavano
sul resto della comunità. Nelle prime poleis il gruppo dei cittadini era
estremamente ristretto e coincideva con gli aristocratici, ma presto, anche se
non dovunque, esso si allargò anche ad altre classi sociali.
Noi moderni traduciamo spesso la parola polis con « città stato », ma in
realtà lo Stato non si identificava con la città, perché anche la campagna
circostante ne faceva parte. Città e campagna erano infatti un'unità
inscindibile poiché anche se occupava un territorio ben definito, la polis non
era semplicemente un luogo geografico. Un greco non avrebbe mai espresso l'idea
di « Stato ateniese » dicendo « la polis di Atene » : nessuno lo avrebbe capito.
Egli diceva invece « la polis degli Ateniesi ». « Atene » era un luogo con case,
templi, edifici pubblici, ma erano gli Ateniesi a costituire la polis.
La piazza
La polis gravitava attorno all'« agorà », che
è la piazza in cui i cittadini si riuniscono in assemblea per discutere i
problemi della comunità e decidere collegialmente sulle leggi che occorrono ;
essa è contemporaneamente il luogo del mercato e il centro economico e
religioso, e perciò vi sorgono gli edifici pubblici, gli uffici, i templi, gli
altari. L'agorà è un'autentica invenzione urbanistica, che non trova riscontro
né nei centri del Vicino Oriente né in quelli micenei dove tutto dipendeva dal
re e non c'era bisogno di un luogo dove tenere l'assemblea.
Il potere e la discussione
Quando tutti i cittadini diventano uguali e le decisioni
politiche nascono da un accordo o da un compromesso tra diverse istanze, ecco
che diventa fondamentale farsi capire bene e riuscire a convincere una folla che
ascolta e ha delle emozioni tutte particolari e tipiche della folla.
La retorica diventa un'arte o una scienza con regole ben
definite e con insegnanti prestigiosi. Prevale chi esprime l'idea migliore nel
modo migliore. I Greci fecero addirittura della persuasione una dea, la dea Peithó.
Religione greca
Benché Zeus fosse il sommo dio,
i greci lo consideravano più il governatore del mondo che il suo creatore. La
sua supremazia era limitata dal fatto che gli altri dei possedevano volontà e
funzioni indipendenti: Apollo (identificato anche con Febo, il dio della luce)
presiedeva alla medicina, agli animali, alla musica e all'Oracolo di Delfi; Era,
sposa di Zeus e protettrice del matrimonio; Poseidone, dio del mare e
provocatore dei terremoti; Atena, patrona di Atene e delle arti; Afrodite, dea
dell'amore. Più tardi, Dioniso, dio della vegetazione e centro dei culti
misterici, giunse ad occupare uno dei primi posti. A mano a mano che le
città-stato si sviluppavano, la religione si mescolava sempre di più alla vita
politica; il culto venne infine disciplinato dalle esigenze della comunità,
assumendo più che altro il valore politico e formale di religione di stato.
Le funzioni del culto, che prima erano privilegio del monarca o di pochi
aristocratici vennero ora affidate ai sacerdoti; questi erano privati cittadini
che venivano eletti come i normali magistrati, e al termine del loro mandato
abbandonavano la carica. In assenza di una casta sacerdotale specializzata come,
per esempio, i bramini indiani o i sacerdoti cristiani, il culto aveva in Grecia
un carattere di estrema semplicità : chiunque poteva rivolgersi agli dei e
praticare i riti in loro onore.
Per soddisfare le esigenze di
una religione più intima, profonda e personale ci fu un sempre maggiore sviluppo
dei culti misterici: - l'orfismo e i misteri eleusini o quelli dionisiaci
- molti greci erano scontenti degli dei olimpici che rispecchiavano i costumi di
un'aristocrazia dominante.
L'oligarchia
Nonostante le città-stato greche avessero ciascuna una
propria autonomia, esse furono comunque caratterizzate da un comune sviluppo
politico: alle originarie monarchie, tra l'800 e il 650 a.C., si sostituirono
governi aristocratici formati da oligarchie, che detenevano, oltre al controllo
delle terre, anche quello politico. La gran parte della popolazione, composta da
piccoli proprietari terrieri, artigiani, contadini, mercanti, aveva scarso peso
politico; importanti erano invece le aggregazioni tribali, che talora prendevano
forma più ampia, assumendo così il nome di fratríe.
I nobili avevano nelle mani un forte potere economico; erano proprietari
terrieri e allevatori di bestiame. I nomi con cui venivano chiamati esprimono la
realtà di una casta che si riteneva superiore per origine divina, per virtù
morali, per ricchezza; sappiamo infatti che si definivano eupatridoi, « i ben
nati », eughenéis, « di buona stirpe », kalòi kài agathói, « i belli e buoni »,
hippobótes, «allevatori di cavalli ». I loro ideali di vita si manifestavano nel
lusso e nello sfarzo: quando si recavano all'assemblea stupivano la gente
comune con il loro incedere superbo, i mantelli di porpora, le capigliature ben
curate e la scia di profumo che lasciavano dietro di sé. I loro passatempi
preferiti erano i cavalli e la caccia.
Il distacco tra gli aristocratici e il popolo non poteva essere più grande. Il
problema principale per l'uomo comune era quello di sempre: la sopravvivenza.
Esso era particolarmente assillante per i semplici braccianti, i teti, che non
possedevano nulla tranne il proprio corpo, e che si mettevano a disposizione dei
proprietari terrieri ricevendo in cambio un misero salario.
Carestie ed espansione
Una serie di carestie e di cattivi raccolti coinvolse
nell'ottavo secolo non solo i poveri contadini senza terre, ma anche i piccoli
proprietari terrieri, che nel secolo precedente se l'erano cavata abbastanza
bene.
Quando un piccolo proprietario terriero non raccoglieva
abbastanza da sfamare se stesso e la famiglia chiaramente non poteva neanche
pagare i debiti contratti con chi gli aveva fatto credito durante i mesi
invernali.
Non potendo restituire il prestito con i relativi interessi, nel
migliore dei casi era costretto a cedere il proprio campo, che andava così ad
allargare le proprietà del suo creditore; nel peggiore, subiva insieme alla sua
famiglia la sorte di tutti coloro che non pagavano i debiti: la schiavitù.
Se
egli riusciva invece a giungere fino alla morte senza subire questo destino, ciò
capitava inevitabilmente ai suoi figli; con l'eredità infatti, la proprietà
paterna veniva divisa in parti uguali, e diminuivano quindi le possibilità di
trarre di che vivere da un campo di modesta estensione.
D'altra parte i terreni agricoli della Grecia non permettevano
di sfamare una popolazione in espansione, quindi ad un certo punto i cittadini
in soprannumero di una polis erano costretti a scegliere tra la miseria e la
partenza per fondare una nuova colonia. Ma sfuggendo alla fame e alla miseria
divennero protagonisti dell'espansione della civiltà greca in tutto il
Mediterraneo.
L'espansione greca
Colonia in greco antico si dice apoikìa, che letteralmente significa "casa
fuori". Il termine, nella sua etimologia, non contiene alcun significato
riconducibile all'intento di conquista o di imperialismo.
La diaspora dei Greci, che li portò alla fondazione di poleis in tutto il
Mediterraneo, si verificò in due fasi: in un primo momento, verso il XII sec.
circa, si ebbe una pura e semplice fuga, a causa delle invasioni, specialmente
quella dorica. La gente scappava per salvare la pelle e la libertà, cercando
rifugio soprattutto nelle isole del Mar Ionio e dell'Egeo. Nell'VIII sec. a. C.
cominciò invece un flusso migratorio organizzato, provocato dal forte incremento
demografico delle poleis.
I primi viaggi furono promossi da Calcide, polis della penisola Eubea, ma ben
presto seguirono altre spedizioni da tutta la Grecia per oltre 150 anni. Focea, Corinto, Megara, Sparta,
Locri, Rodi, Samo, divennero, città-madri di altrettante poleis greche in terre lontane. Coloni greci approdarono sulle coste dell'Italia
meridionale, dell'Italia Meridionale e insulare, della Gallia, della Spagna, dell'Africa, del Mar
Nero, e fondarono città che divennero presto ricche e potenti: Metaponto, Sibari,
Reggio, Messina, Siracusa, Catania, Agrigento, Marsiglia, Malaga, Sagunto,
Cirene e tante altre. La cultura greca si fuse con quella
delle popolazioni locali, dando
origine a civiltà splendide e originali.
Il termine apoikìa usato dai Greci per definire le colonie indica con
maggiore esattezza il fenomeno: all'atto della partenza, infatti, la
città-madre forniva ai coloni ogni genere di aiuti: navi, mezzi, informazioni;
quando però la spedizione prendeva possesso delle nuove terre formando una nuova
comunità, la polis che nasceva era del tutto autonoma rispetto alla madrepatria.
Restavano i legami di lingua, di cultura, di religione, fiorivano i rapporti
commerciali, ma cessavano completamente quelli politici; la colonia era libera
di espandersi, di seguire un suo sviluppo originale stipulava trattati, fondava
a sua volta altre colonie, si dava leggi, sceglieva i propri magistrati, il
tutto senza alcuna interferenza della madrepatria.
Le colonie greche più importanti, in territorio italiano, sorsero a:
- Cuma, Napoli, Paestum in Campania;
- Sibari, Crotone, Locri, Reggio in Calabria;
- Naxos, Catania, Siracusa, Messina, Agrigento in Sicilia.
Agricoltura e controllo del traffico commerciale
La grandezza e il vanto della maggior parte delle colonie erano basati
sull'agricoltura: la prosperità agricola di Cuma, Catania, Lentini, Siracusa,
Sibari, Nasso era famosa nell'antichità.
Alcune colonie erano state invece fondate con lo scopo preciso di controllare
i flussi del traffico commerciale: in queste l'attività prevalente non fu
l'agricoltura, ma il commercio.
Pitecusa (Ischia) deteneva una posizione chiave lungo la via
marittima verso l'Etruria, terra ricca di ferro e altri minerali. Messina e
Reggio, fondate sulle due sponde dello Stretto occupavano una posizione
altrettanto strategica. La più avanzata città greca nel Mar Tirreno Marsiglia la
quale diffuse in Spagna, Gallia ed Etruria i prodotti dell'artigianato greco,
olio e vino in cambio di argento, stagno e altri minerali.
Dalle colonie del Mar nero proveniva il legname da Costruzione e il grano.
I rapporti con le culture locali
I rapporti tra i coloni greci e le popolazioni locali, le quali erano ad uno
stadio culturale più arretrato, furono complessi e assunsero forme diverse da un
luogo all'altro, in rapporto all'atteggiamento delle popolazioni locali, al
comportamento dei nuovi venuti, alla situazione geografica.
I Greci colonizzatori dovettero confrontarsi con i Siculi della Sicilia, i Lucani e i Bruttii dell'Italia
meridionale (la cosiddetta Magna Grecia), i Traci del Mar Nero, i Libici
dell'Africa.
Vediamo tre esempi completamente diversi
riguardanti la colonizzazione della Sicilia.
Convivenza pacifica. A Nasso e Lentini si instaurò una fin dall'inizio una
proficua convivenza pacifica: la popolazione locale conservò gran parte delle
terre e si aprì spontaneamente all'influenza culturale greca.
Indigeni in riserva. Nella Sicilia sud-orientale gli indigeni furono
confinati in zone precise e tenuti a bada.
Indigeni schiavizzati. A Siracusa e non solo gli indigeni furono
spogliati di ogni avere, resi schiavi e costretti ai lavori nei campi.
In ogni caso ad un certo punto gli indigeni venivano almeno in parte assimilati,
anche perché i coloni greci non si portavano dietro donne dalla madre-patria.
Nelle colonie ci sono minori differenze
sociali
Nelle colonie contavano poco la nobiltà e i privilegi di casta, nelle
colonie contavano lo spirito d'iniziativa, la volontà di lavorare molto, la
capacità organizzativa, il coraggio, la decisione, a volte la spietatezza. E'
perciò normale che proprio nelle colonie siano stati sperimentati nuovi rapporti
sociali: le terre venivano divise in lotti uguali, diventava importante anche la
nuova classe degli artigiani che si poteva alleare con la classe dei liberi
agricoltori e dei commercianti ai danni della nobiltà.
Legislazione scritta
Zeleuco di Locri, Diocle di Siracusa, Caronda di Catania furono gli autori
delle prime legislazioni scritte tra il VII e il VI secolo a.C. Questo fatto è
coerente con quanto detto nel paragrafo precedente riguardo ad maggiore
giustizia sociale nelle colonie. Infatti quando la giustizia era amministrata da
giudici aristocratici che si trasmettevano le leggi oralmente è chiaro che non
tutti i cittadini potevano essere uguali davanti alla legge.
Dalle colonie le leggi scritte furono poi
gradualmente adottate anche nelle poleis della madre-patria.
I beni in comune delle isole Lipari
L'apertura delle comunità coloniali verso esperienze sociali nuove e
stimolanti ha una delle sue manifestazioni più sorprendenti in ciò che accadde
nelle isole Lipari, dove, nel vi secolo, si erano insediati coloni di Cnido e di
Rodi
Poiché i pirati etruschi facevano agli abitanti di Lipari una guerra
continua, essi crearono una flotta e si divisero in due gruppi: gli uni
coltivavano le terre che avevano messo in comune, gli altri combattevano i
pirati; i beni erano di tutti e i pasti venivano consumati insieme. Essi vissero
per un certo tempo così, in regime comunistico. Più tardi si spartirono l'isola
di Lipari, dove si trovava la loro città, ma continuavano a coltivare in comune
le altre isole. Infine si divisero il suolo per un periodo di venti anni; ogni
volta che terminava questo periodo rimettevano a sorte i lotti. Così sconfissero
gli Etruschi in molte battaglie navali ...
Diodoro Siculo, V 9
Il « comunismo » delle isole Lipari è certo un caso del tutto eccezionale, ma
non per questo meno significativo, della tendenza verso l'uguaglianza sociale
che doveva manifestarsi lontano dalla madrepatria, in situazioni particolarmente
difficili.
Tuttavia, con il passare del tempo, i tradizionali modelli sociali finirono
per prevalere, e sorsero ovunque, anche nelle colonie, potenti aristocrazie
locali detentrici del potere politico e della maggior parte della ricchezza.
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